Lo zaino…
Un semplice oggetto come uno zaino può suscitare sentimenti contrastanti.
Ad esempio, c’è chi ripercorre con nostalgia i viaggi passati e c’è chi invece immagina avventure future.
Per chi ha vissuto, come me, l’infanzia in un piccolo paesino della provincia, lo zaino era una zavorra abituale, il kit minimo di sopravvivenza per affrontare imprevisti e cambi di programma. Ma rappresentava anche una sorta di vessillo con cui sbandierare la condizione di “viaggiatore”, che permetteva tra l’altro alcuni piccoli privilegi, come ad esempio poter entrare a scuola più tardi o uscirne un po’ prima…
In effetti, anche dopo il diploma ho continuato ad usare lo zaino, preferendolo alle valigie, per iniziare ad esplorare un mondo che mi sembrava, allora, sempre troppo piccolo per contenere sogni ed aspettative.
Per ironia della sorte, da quando mio figlio ha iniziato a riempirli lui, gli zaini, quel mondo mi appare adesso inesorabilmente grande e pieno di insidie.
Inevitabile pensare ai miei genitori e alla loro infinita benevolenza.
Quella di cui mi dovrò dotare anch’io, per sovrastare ansie e preoccupazioni.
Ancora oggi conservo quello zaino, che mi ha seguito dappertutto: a scuola, in giro per l’Europa, al lavoro, in escursioni naturalistiche ed anche nelle attività sportive.
Stasera ho deciso di tirarlo fuori: dentro ci sono un sacco di occasioni mancate, paure ed errori di gioventù, amori sbagliati, chiazze di allegria… ma anche un granello di polvere dell’isola che non c’è.
Tutte cose di cui non avrei potuto fare a meno, per essere quello che sono.
Otil Farg
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